1964 - L’ARRIVO IN BELGIO
UNA DATA DA NON DIMENTICARE
16 novembre 1964 ore 12.30 l’arrivo in Belgio, li venivo da Colonia, la prima cosa che provai, guardando il paesaggio dal finestrino del treno, fu
una stretta al cuore, una strana sensazione, quasi disperazione, non so come definirla, vedevo le case stranamente scure, buie, nere. Ero arrivato nel paese delle « Gueules noires » (Le facce nere) cioè i minatori, per quello le case erano tutte scure, era la polvere di carbone continuamente in sospensione che sporcava le facciate delle costruzioni nelle vicinanze.
Scendendo a Bruxelles chiesi la corrispondenza per Flenu, era li che ero diretto. Quando arrivai a Flenu e uscii dalla stazione, la prima cosa che vidi fu una vetrina con scritto sopra « Barbiere », mi sentii di nuovo rassicurato, c’erano italiani. Gli italiani in quella zona erano tanti e per la prima volta in vita mia ebbi modo di coabitare con tutta l’Italia, si perché tutte le regioni italiane erano presenti, tutti minatori, gente partita nel ’46 o ’47 subito dopo la guerra, arruolati a Milano direzione le miniere del Belgio per un minimo di cinque anni nel fondo.
Appena arrivato trovai alloggio presso una « cantina » cosi era chiamato questo luogo dove alloggiavano molti italiani che lavoravano o che avevano lavorato nelle miniere.Disponevo di una camera che condividevo con un altro italiano, un italiano del sud. All’inizio questa coabitazione con personaggi del sud Italia mi metteva un po’ a disagio, avendo sempre vissuto a Venezia i nostri modi di vivere erano completamente differenti, ma con l’andare del tempo ci presi l’abitudine e non trovavo più alcuna differenza.Chi gestiva questa pensione era Angelo Rinaldini, un originario dell’Emilia Romagna, un personaggio molto disponibile, un personaggio che, grazie al bene fatto a molti di questi italiani che hanno vissuto in quel posto, fu poi nominato Cavaliere. Era una persona che mi dava buoni consigli, che mi aiutava nelle scelte, debbo dire grazie a lui se sono entrato nel mestiere del quale faccio parte ora, mi ero attaccato a tale punto che prima di sposarmi gli chiesi di essere il mio padrino di Cresima, cosa che accetto’.Mi è dispiaciuto molto quando seppi del suo decesso, decesso del quale venni a conoscenza solo dopo il mio rientro dall’Africa.
Cav. Angelo Rinaldini
Mi ricordai le parole di mio padre!. Questi « veri » emigrati vivevano nelle pensioni apposta per loro, rientravano dal duro lavoro e si facevano da mangiare, le pulizie, e poi a letto, infatti la maggioranza avevano le famiglie in Italia, per cui spendevano il meno possibile per inviare il massimo alla famiglia. Appena feci conoscenza con loro, fui aggredito dalle domande, « com’è l’Italia, come ci si sta, cosa è cambiato, ecc », tutte domande che mi fecero capire che quelle persone vivevano in un circolo chiuso da anni e che non avevano avuto alcuna evoluzione rimanendo com’erano quando sono partiti. Alcuni non sapevano ne leggere ne scrivere per cui mi chiedevano di leggere le lettere delle loro famiglie e poi di rispondere.
Feci la conoscenza di un Padre Missionario che anche lui aiutava questa gente il quale mi chiese un giorno se volevo collaborare con il giornale « La Missione » edito da loro. Accettai anche perché mi lasciarono libera scelta sugli articoli. Iniziai subito con un articolo che trattava della storia dell’emigrazione, andavo nelle le case di italiani per intervistarli e mano a mano che apprendevo mi rendevo conto che la cosa mi affascinava, mi affascinava a tale punto che non mi moderavo più e gli articoli si facevano sempre più duri facendo scoprire o riscoprire ai lettori la realtà della vita di un emigrato in Belgio. Il Belgio aveva promesso loro delle case, mentre in realtà furono « parcheggiati » in baraccamenti di lamiera ondulata vestigi di ex campi di prigionieri della guerra. Non parlavo degli anni 50, eravamo nel 1965, tutto questo perduró fino al 1970. Riuscii persino a pubblicare le fotocopie degli accordi firmati fra i ministri Belgi e Italiani dell’epoca, accordi che dicevano che per ogni italiano assunto in Belgio, l’Italia avrebbe ricevuto un sacco di carbone da 200 Kg al giorno per tutta la durata della permanenza in miniera. Quello fu un articolo di troppo. Molte erano già le coppie miste, e molti belgi capivano l’italiano, per cui dopo la pubblicazione dell’ultimo articolo fui convocato dalla polizia degli stranieri con l’accusa di « Rivoluzionario », mi ordinarono di smettere subito gli articoli con la minaccia di rimpatrio immediato se non avessi ottemperato.
A quei tempi noi italiani non eravamo tanto ben visti, eravamo trattati come dei pestiferati, una volta fra amici volemmo entrare in un locale dove si poteva ballare, era tenuto da un giovane italiano nato in Belgio da genitori emigrati gia da prima della guerra, ma di italiano aveva ben poco perché sulla porta aveva messo una scritta « Proibito ai cani e agli italiani ».
Quel tipo anni dopo cantava in francese che era italiano dai piedi alla testa e fiero di esserlo.
Non ne cito il nome perché non ne vale la pena.
La prima cosa che facevamo arrivando in Belgio era di presentarsi alla polizia degli stranieri per essere iscritti ed ottenere un permesso di soggiorno provvisorio di tre mesi, poi in seguito se avevamo trovato lavoro, ci avrebbero dato un permesso valido un anno e rinnovabile in seguito.
Quando mi dettero il permesso di soggiorno mi sentii come gli ebrei durante la guerra, era una specie di carta d’identità a 3 pagine, bianca, con una bella striscia rossa che attraversava le 3 pagine e con tanto di impronte digitali in bella vista.
Meno male che gli accordi CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio) erano gia firmati perché io non dovetti scendere in miniera, lavorai quasi subito alla Pirelli e grazie a loro ebbi il permesso di lavoro, eh si perché per lavorare ci voleva anche quello. Rimasi alla Pirelli per quasi sei mesi, poi trovai meglio e andai in una vetreria, ma anche li non faceva per me, entrai in una azienda di elettricità parastatale, e con loro ebbi modo di mettere in pratica quelli che erano i miei studi, con loro lavorai a diversi progetti facendo un po’ di tutto dal manovale al cablaggio di una centrale nucleare, salendo anche sui piloni ad alta tensione. Da li lavorai poi alla Fiat come meccanico durante un anno e mezzo, ma anche li non rimasi, non volevo rimanere un semplice operaio, volevo andare avanti, ero troppo ambizioso, i miei studi potevano permettermi di andare avanti. Fu solo nel 69 che trovai forse il lavoro che mi conveniva, lavoro sempre differente dove ogni intervento era una cosa nuova, dove ogni guasto doveva farmi cercare nella mia testa la soluzione migliore. Per fare questo lavoro dovetti studiare ancora, effettuare degli « stages » di formazione necessari alla professione.
Fui mandato in Italia in una ditta di Bologna durante 15 giorni per imparare le tecniche dei frigoriferi industriali, su come diagnosticare i guasti ed intervenire, fui mandato a Milano per imparare la tecnica delle macchine da caffè, in un'altra ditta specializzata per imparare la tecnica su come progettare una ventilazione per le cucine dei ristoranti, tutto questo mi affascinava, …avevo trovato il mio mestiere.
Nel frattempo vivevo con la ragazza conosciuta a Venezia, ci lasciammo dopo due anni e mezzo circa, era evidente che non faceva per me, ma mi lasciai convincere e dopo 6 mesi ci sposammo. Era allora il 1967 mi ero sposato forse perché ero solo, mamma era deceduta sei mesi prima, babbo non mi parlava più da oltre 2 anni a causa della mia partenza in Belgio, eh si perché l’imbroglio non lo aveva digerito. Allora decisi di andare a Venezia a trovarlo e impormi alla sua presenza chiedendogli di potergli parlare da uomo a uomo e spiegarsi, avrebbe fatto poi quel che voleva, considerando che io avrei fatto il mio dovere. E fu così che ci ritrovammo al ristorante. Io non cercavo alcuna scusa, gli ricordai semplicemente una frase che lui diceva spesso a mia madre quando ero ancora in Italia, « Papa, ti ricordi quando dicevi a mamma, “ce ne andiamo in Francia, e vivremo molto meglio che in Italia, peró lo dicevi ma non lo hai mai fatto”, il perché non lo so, ma io contrariamente ho avuto il coraggio dei miei atti ». Come tutta risposta mio padre disse : « lasciamo stare il passato, l’importante è che tu stia bene ». E tutto terminó li. Purtroppo dopo 2 anni anche lui ando’ a raggiungere mia madre. E li rimasi veramente solo.
3/3/1969 – nasce la prima figlia Diana, 28/2/70 nasce Nancy, 19/10/71 nasce Fabrizio e per ultimo il 30/9/73 nasce Marco, qualche mese dopo mi separai da mia moglie. Fu un evento al quale fino allora mi ero rivoltato vista la mia educazione, contrario al divorzio, ancora troppo ingenuo per giungere a questa soluzione o conclusione, ma alla fine costretto ad accettarla.
Qualche mese dopo conobbi una ragazza sarda, anche lei divorziata da poco e con l’andare del tempo decidemmo di unirci, infatti dopo qualche anno di convivenza ci sposammo nel 1977. Furono degli anni bellissimi, mi sembrava un sogno, e gli anni passavano.
Video dei miei primi 20 anni: https://youtu.be/BDa77PzFNXI